Fatima Ezzahra Boumrine è una ragazza musulmana nata a Correggio il 2 marzo del 1991.
Viene chiamata giovane musulmana italiana di seconda generazione, perché è nata in Italia, ma da genitori di origini marocchine.
Fatima studia Farmacia all’Università di Parma e nel tempo libero le piace leggere e partecipare ad incontri o iniziative di qualsiasi tipo, soprattutto di attualità.
È una ragazza molto socievole e attiva e, da qualche anno, oltre a studiare, lavora come maschera al Teatro Asioli di Correggio.
Abbiamo voluto scambiare due parole con lei anche a seguito dei fatti recentemente accaduti a Parigi.
Fatima, cosa significa per te essere musulmana?
Cosa significa, in particolare, esserlo in Italia?
«Sono cresciuta in una famiglia dove la religione è sempre stata alla base di tutto, fin da piccola frequentavo le moschee e la domenica mattina andavo alle lezioni di arabo che teneva mia mamma in un’aula del Convitto a Correggio finché, diventata più grande, ho cominciato a frequentarne altre. I miei genitori hanno sempre cercato di farmi sentire italiana al 100%, ma allo stesso tempo non volevano che dimenticassi, non tanto le mie origini marocchine, ma la mia religione. Da musulmana italiana io vivo la mia religione in modo molto tranquillo, cercando di superare le difficoltà e le discriminazioni che mi si presentano; la vedo proprio come una fortuna, posso fare tesoro di tutti gli aspetti positivi della cultura italiana, come la cucina, e altrettanto di quella marocchina».
Nella tua vita di tutti i giorni è cambiato qualcosa da quando si parla di Isis?
Ti senti più discriminata o guardata con sospetto?
«In realtà non è una novità quella di essere guardata con sospetto o presa in giro. Purtroppo si sta ripetendo quello che ho vissuto quando c’è stato l’attentato alle Torri Gemelle l’11 settembre del 2001. Avevo 10 anni quando è successo e mi ricordo come se fosse ieri che i miei compagni di classe mi chiamavano Bin Laden, invece di Fatima.
Ho passato dei momenti bruttissimi e il mio modo di difendermi era quello di studiare bene, di prepararmi e dimostrare ai miei compagni che anche la “marocchina terrorista” poteva prendere un bel 9 in un tema di italiano!
Per me questa era la miglior risposta alle loro offese, prendere dei bei voti.
Dopo quello che è successo a Parigi lo scorso mese, la situazione è forse peggiorata.
L’attentato del 2001 si era verificato in un altro continente, adesso quello che è successo in Francia ci ha toccati più da vicino e sono tante le ripercussioni che stiamo vivendo noi musulmani. Se penso che in Lombardia il 27 gennaio, Giornata della memoria, è stata approvata una legge antimoschee, questo è un segno evidente che le ripercussioni su noi musulmani ci sono state».
La satira, fino a dove si può spingere?
È giusto porre un limite o dovrebbe stare al buongusto di ognuno capire quali argomenti vadano toccati e quali no?
«Io sono d’accordo con la satira quando può essere costruttiva e lascia riflettere le persone su certi temi, spesso anche forti; ma quando si tocca la religione, che secondo me è una delle cose più intime della persona, penso che non si stia più facendo satira.
Io ho provato anche a mettermi nei panni dei vignettisti di Charlie Hebdo e mi sono proprio chiesta dove fosse, in quelle vignette, il divertimento.
In questo senso io lotto dalla parte di tutte le religioni perché mi sento toccata anche quando viene derisa una fede che non è la mia.
Al giorno d’oggi, visto che viviamo in un mondo globalizzato e con tante culture, bisogna essere un attimo più delicati e fare attenzione anche a questi aspetti. Quindi no, non sono d’accordo sul bisogno di porre un limite alla libertà di espressione, quanto però di tenere in considerazione la sensibilità delle persone, soprattutto quando si parla di religione».
Cosa dice il Corano sulla violenza?
«Sento spesso dire che il Corano incita alla violenza.
Penso sia la cosa più sbagliata che una persona possa dire su questo libro sacro.
In una Sura del Corano chiamata “La Tavola Imbandita”, nel versetto 32 c’è scritto: “chiunque uccida un uomo sarà come se avesse ucciso l’umanità intera e chi ne abbia salvato uno sarà come se avesse salvato tutta l’umanità”.
È questo che mi piace elogiare della mia religione».
Cos’è la Jihad?
«La parola Jihad viene sempre tradotta dai mass-media in maniera inesatta cioè come “Guerra Santa”. È una cosa sbagliatissima perché la parola Jihad significa letteralmente “sforzo”, “sacrificio”.
Io faccio una jihad quando in estate, con il caldo, porto il velo e indosso vestiti lunghi per coprirmi il corpo oppure quando, per esempio, quest’estate durante gli esami avevo il digiuno di Ramadan.
È uno sforzo, un sacrificio che un credente per amore di Dio fa».
Sembra che i confini tra la politica e l’insofferenza per anni di repressioni in alcuni paesi si confondano facilmente con la religione, trovando in essa motivazioni e scuse per la violenza. Quali sono questi appigli religiosi a cui i violenti si appellano?
«Questi terroristi riescono a trovare degli appigli nella religione andando a cercare e interpretare a modo loro la parola di Dio, appigli che in realtà non esistono. Cercano, nei versetti del Corano, ciò che può dare loro una spiegazione agli atti terribili che compiono. Nel Corano, come anche nella Bibbia, si parla di lotte tra popoli e di difesa della propria religione, ma se pensi di estrapolare un versetto e interpretarlo a tuo piacimento hai sbagliato tutto. Il Corano è un testo sacro che ci insegna l’amore non la violenza e la traduzione stessa della parola islam, che significa “pace”, vuole ricordarcelo».
Da dove nasce l’estremismo?
«L’estremismo nasce principalmente dall’ignoranza. Penso che anche la discriminazione a lungo andare possa alimentare l’odio e le ostilità rischiando di far sfociare le persone in comportamenti violenti e dannosi per tutti e su questo bisogna cercare di porre molta attenzione».
Per finire, cosa si può fare concretamente per conoscere meglio la religione musulmana?
«Vista la mia esperienza penso che l’educazione debba già partire dai primi anni di scuola. Gli istituti dovrebbero organizzare incontri e aderire a progetti, poi questo percorso dovrebbe continuare da adulti. Si potrebbero organizzare conferenze, come è già stato fatto da alcuni comuni, che permettano anche alle persone, che magari non conoscono tanto la nostra religione o che hanno dei pregiudizi, di approfondire le loro conoscenze. C’è una frase di Nelson Mandela che dice “l’educazione è l’arma più potente che si può usare per cambiare il mondo”.
Per concludere, vorrei dire che siamo tutti d’accordo sul fatto che quello che è successo a Parigi non sarebbe mai dovuto accadere: oltre ad aver ucciso delle persone, ha messo in cattiva luce la stragrande maggioranza dei musulmani che invece hanno sempre voluto portare avanti attività interreligiose, iniziative di dialogo e di confronto in difesa della fede e della multicultura. Come diceva Gandhi “la violenza è l’arma più debole, la non violenza quella più forte”».