Forse qualcuno, passeggiando per Corso Cavour, non immagina che dove oggi sorge il Teatro Asioli, nel XV secolo vi era uno dei più importanti palazzi cittadini: il palazzo privato di Nicolò Postumo da Correggio (1448/1449-1508), signore della città, uomo d’armi, letterato e poeta.
Di questo antico edificio, che nel corso dei secoli ha subito innumerevoli trasformazioni, oggi non resta altro che un solo muro nel Ridotto del Teatro su cui però, fortunatamente, si è conservata una delle rare pitture murarie quattrocentesche superstiti a Correggio.
Per quanto riguardo l’antico palazzo, sappiamo solo, da un documento, che nel 1476 i lavori di costruzione erano già avviati.
Il palazzo probabilmente doveva avere uno stile architettonico vicino alla coeva produzione ferrarese. Con Nicolò Postumo, infatti, lo storico legame dell’ambiente artistico correggese con quello ferrarese si fece ancora più saldo, poiché Nicolò era figlio di Nicolò I da Correggio (morto prima della nascita del figlio) e di Beatrice d’Este, sorella del duca Borso.
Nicolò crebbe proprio presso la corte, culturalmente vivacissima, dello zio Borso, che si prodigò per formarlo e istruirlo al meglio. Nicolò è infatti ricordato soprattutto come letterato e poeta (la sua opera principale è il testo teatrale La fabula di Cefalo) più che per le sue attività di condottiero e diplomatico, che pure svolse egregiamente.
La pittura di cui parliamo, un fregio frammentario, rappresenta una sorta di torneo di cavalieri che montano animali fantastici, con il corpo da tritoni e la testa da unicorni, a coppie di due, sorreggendo alcuni stemmi, intervallati da elaborati vasi in cui si intrecciano le code delle creature marine.
La raffigurazione segue un medesimo ritmo e, come un modulo, i cavalieri, gli animali e gli stemmi si ripetono seguendo una cadenza regolare.
Questa tipica produzione artistica, di ambito estense, rientra nel settore di quelle tipologie decorative che uniscono alla funzione ornamentale quella di glorificazione della propria casata attraverso l’uso degli stemmi.
Vi sono ancora leggibili quattro emblemi araldici: quello delle famiglie Sanvitale, quello della famiglia bolognese dei Bentivoglio, quello forse dei Gonzaga e infine quello dei Pio da Carpi, tutte famiglie imparentate con i da Correggio.
Il fregio doveva proseguire anche sulle altre pareti e circondare interamente la stanza, che doveva certamente avere un’ampiezza e una forma diversa da quella attuale, ed essere la sala di rappresentanza del palazzo in cui si svolgevano banchetti e feste.
Non siamo a conoscenza dell’autore dell’opera, ma con una certa sicurezza possiamo affermare, grazie a elementi stilistici chiari, che si tratta di un artista profondamente influenzato dall’arte ferrarese.
Nella durezza e purezza della linea del nostro anonimo maestro emiliano, possiamo ritrovare un’eco dell’enigmatico Maestro dell’Agosto (alias Gherardo da Vicenza) operante nel palazzo di Schifanoia a Ferrara.
Nella ferocia, invece, e nell’accentuata espressività e nervosità degli animali, come nella propensione al fantastico c’è, a mio avviso, un evidente rimando a Cosmè Tura, il pittore ufficiale degli Estensi.