Cashback: serve davvero al paese?

Pro e contro del discusso intervento economico

Il Governo ha optato per una singolare strategia di stimolo dei consumi, in questo periodo particolarmente critico sotto l’aspetto economico: un abbondante e probabilmente eccessiva trafila di bonus, dall’acquisto di auto elettriche fino alle ristrutturazioni edilizie, senza dimenticare i computer, i monopattini elettrici e i rubinetti (?!).

Il più discusso e attenzionato, tuttavia, è stato il cosiddetto Cashback, che consta nella restituzione del 10% dell’importo speso con una transazione, qualora il pagamento sia effettuato in modo elettronico. Il tetto della singola spesa è di 150 euro, così come il rimborso massimo semestrale; per poter ricevere il rimborso, inoltre, è necessario compiere 50 acquisti con carte nell’arco di questi sei mesi. Le carte scelte per pagare vanno registrate sull’applicazione IO, la costola digitale della Pubblica Amministrazione, con la speranza che possa diffondersi più rapidamente e quindi sveltire anche altri aspetti farraginosi della burocrazia.

La misura è stata sperimentata nel mese di dicembre, col tetto di acquisti ridotto a dieci, riscuotendo un buon riscontro di iscrizioni fra i concittadini, per poi divenire ufficialmente operativa dal 1° gennaio. La domanda, però, sorge spontanea: sarà davvero una misura efficace per stimolare i consumi e per combattere i (tanti) furbetti del fisco? Lo chiediamo ad un concittadino esperto di politiche economiche, che già in passato aveva fugato i nostri dubbi su queste materie, con competenza: il commercialista Stefano Manzini.

 

La ragione principale dietro l’adozione del Cashback è il contrasto all’evasione fiscale, un problema storico del nostro Paese: la ritieni efficace sotto questo aspetto?

«Il cashback non è una novità assoluta; è già stato sperimentato in altri paesi ad alta evasione: Portogallo, Brasile, Cina, Uruguay e Colombia. Non in tutti i casi ha dato buoni risultati (i migliori in Portogallo soprattutto sul recupero IVA, incerti ed incostanti negli altri paesi): se sicuramente esiste una relazione tra evasione ed uso del contante, tuttavia sarebbe semplicistico ridurre il fenomeno evasione solo a questo. Vi sono anche altri fattori che la determinano e che possiamo riassumere nel concetto di “educazione fiscale”, come l’etica, il senso civico e la solidarietà.

Ad esempio, Paesi che hanno un elevato uso del contante, come l’Austria e la Germania, hanno un tasso di evasione molto inferiore al nostro. Tuttavia non si può escludere che la limitazione all’uso del contante (2000 euro dal 1/7/2020 e 1000 euro dal 1/1/2022) e l’incremento dell’uso delle carte di credito e di debito (Bancomat) possano contrastare, almeno in parte, l’evasione.

Secondo un rapporto della Ambrosetti House del 2019, in Italia, una crescita dei pagamenti diversi dal contante potrebbe generare un recupero di Iva e imposte dirette stimabile tra i 6 ed i 28 miliardi. Tuttavia tali risultati, come dimostrano le esperienze estere, sono incerti: lo stesso Governo, che ha previsto per il cashback un’uscita di circa 4,7 miliardi di euro in due anni, non ha previsto, prudenzialmente, maggiori entrate. Infine, il rischio è che l’uso delle carte si concentri in settori già a basso tasso di evasione (supermercati, grande distribuzione) lasciando invece inalterato il rapporto con il piccolo dettaglio nei settori a maggiore evasione, dove uno “sconto immediato” sull’Iva al 22% può risultare più appetibile anche per il compratore».

 

Alcuni esercenti criticano l’aumento dei costi bancari per le transazioni elettroniche: la ritieni una contestazione legittima?

«I costi delle transazioni bancarie in Italia sono ormai un annoso problema; tuttavia negli ultimi tempi qualcosa di positivo è stato fatto, ad iniziare dal credito di imposte del 30% sui costi delle commissioni pagate dai commercianti, a carico dello stato (anche se il meccanismo non è proprio immediato).

Inoltre anche i principali operatori del settore si sono mossi in tal senso (riporto i dati da un recente articolo del “Sole 24 Ore”): Deutsche Bank e Banca Intesa hanno ridotto le commissioni, Unicredit le ha azzerate per i pagamenti fino a 10 euro, il circuito Pagobancomat ha annullato le commissioni fino a 5 euro, con termine il 31/12/2023. Infine, è chiaro che se aumentano le transazioni i costi fissi del sistema potranno essere meglio assorbiti, con un conseguente abbassamento delle commissioni».

 

É davvero una misura che favorisce i giovani e va a discapito dei più anziani?

«Sicuramente la necessità di una app e dello SPID per identificarsi pone un problema tecnologico a persone non nate digitali, che quindi sono sicuramente sfavorite. Tuttavia, la spinta verso l’identità digitale (SPID) è ormai una scelta irreversibile cui tutti, volenti o nolenti dovremo adattarci e credo che nel medio termine tale sistema dovrebbe portare dei vantaggi al rapporto tra il cittadino e la burocrazia pubblica.

Purtroppo la registrazione sulla app IO di PagoPa e il rimborso posticipato sul conto corrente bancario sono inutilmente macchinosi, tant’è vero che alcuni gestori di strumenti di pagamento elettronici hanno già messo a disposizione sistemi più agili, che ovviamente richiedono la sottoscrizione dei rispettivi prodotti FinTech. Forse sarebbe stato più semplice prevedere uno sconto contestuale al pagamento, lasciando ai gestori delle carte l’onere di regolare i conti coi propri clienti».

 

Ritieni un incentivo congruo il ritorno del 10% sulle transazioni?

«Il ritorno del 10% è già molto oneroso per le casse dello stato (4,7 miliardi in due anni) e quindi costituisce un grosso sforzo per le nostre finanze pubbliche. Il problema principale è che questo “10% di ritorno” è sicuramente “regressivo”, cioè avvantaggia di più i ceti medio alti ed alti che quelli bassi. Anche se il limite di spesa è relativamente basso (3.000 euro all’anno con almeno 1500 a semestre per un ritorno massimo di 300 euro all’anno), vi sono sicuramente fasce di popolazione che potrebbero non riuscire a goderne: al contrario, per coloro che già hanno un alto tenore di consumi non sarà neppure necessario aumentare le proprie transazioni per godere dello sconto e, da studi pubblicati da Banca d’Italia, pare proprio che già oggi il maggior uso delle carte sia proprio collocato al nord ed in ceti sociali di reddito medio alto. Questo fattore “regressivo” potrebbe vanificare, almeno in parte, la speranza di chi vede in questa misura anche uno stimolo ad incentivare i consumi locali. Condivido invece la scelta di non estendere il Cashback agli acquisti su internet per favorire i consumi locali (COVID ed assembramenti permettendo)».

 

Si è molto discusso dell’utilità dell’intervento: credi che sarebbe stato prioritario allocare risorse altrove o ritieni che fosse impellente agire su questo fronte?

«Ho dei dubbi sull’impellenza di questa spesa e sulla sua efficacia, anche se mi auguro ovviamente risultati come quelli del Portogallo o superiori. Tuttavia credo che vada lanciato chiaramente il segnale che questo strumento non sostituisce in alcun modo i controlli dell’Amministrazione finanziaria (oggi quasi sospesi causa COVID), ed anzi andrebbe incrementata la percezione da parte del contribuente della loro efficacia e della probabilità di essere “beccati”.

Sicuramente l’intento di fondo del MEF è lodevole, ma spingere oltre misura questo strumento fino alla quasi totale abolizione del contante (cosa che pare stia facendo solo la Cina) è pericoloso anche in termini di privacy e di libertà individuale. Occorre infine ricordare anche che la gestione del contante non è competenza dei governi nazionali ma della BCE, ai sensi degli art. 127 e 282, del TFUE».

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