Lo spettacolo del Parmigiano-Reggiano è tornato in scena dopo una pausa forzata dovuta alla pandemia. Con l’iniziativa “Caseifici Aperti” anche nel correggese la risposta dei consumatori e degli appassionati è stata al di sopra delle aspettative: poter osservare da vicino le suggestive fasi della lavorazione del latte che diventa Parmigiano Reggiano si è rivelato ancora una volta a dir poco affascinante. Uno spettacolo che almeno una volta nella vita vale la pena vedere, anche perché è l’occasione di toccare con mano le particolarità di una produzione del tutto unica e ricca di dettagli, che ne caratterizzano l’autenticità. Caseifici Aperti offre l’opportunità di conoscere come nasce il Parmigiano Reggiano, non solo dal racconto diretto di chi il formaggio lo produce, vale a dire il casaro, ma anche dalla complicità dei profumi, dei rumori, dei silenzi e di tutta l’atmosfera che caratterizza il caseificio nel momento più importante della giornata. Un’iniziativa nata nel 2013, ad un anno dal grave sisma che ha colpito l’Emilia, voluta dal Consorzio del Parmigiano Reggiano con l’intento di ringraziare idealmente coloro che a vario titolo hanno contribuito alla ricostruzione dei caseifici colpiti. L’omaggio concreto ai visitatori, che da allora si ripete ogni anno, è quello di permettere loro di toccare con mano un mondo che, visto da fuori, non può essere nemmeno immaginato, sia nella sua complessità che nel suo fascino. Le latterie che aderiscono all’iniziativa aprendo le loro porte ai visitatori, famiglie con bambini ed appassionati, hanno il merito di contribuire concretamente a diffondere le tradizioni del territorio.
I segreti escono dalla notte dei tempi
Chi ha partecipato a “Caseifici Aperti” ha potuto osservare che la produzione del Parmigiano Reggiano inizia di buon mattino con la lavorazione del latte. Quello della mungitura della sera del giorno precedente che, nel frattempo, sarà stato separato: da una parte la panna che, nel corso della notte, sarà affiorata in superficie e dalla quale sarà possibile ricavare il burro, dall’altra quello fresco della mungitura dell’alba. Il latte delle due mungiture andrà a riempire un’unica caldaia, la cosiddetta caldera. Il fatto che nel procedimento di preparazione del parmigiano si utilizzi il latte di due mungiture differenti pare sia da attribuire alla casualità. Nel quattordicesimo secolo, quando furono prodotte le prime forme di Parmigiano – Reggiano, la modesta consistenza degli allevamenti non permetteva di avere latte a sufficienza per realizzare una forma di dimensioni sufficienti, per cui la casualità portò a sperimentare l’attesa della munta successiva che di fatto si rivelò, restandolo nel tempo, uno degli ingredienti fondamentali di questa produzione unica. La classica caldaia di rame per la produzione del Parmigiano Reggiano contiene undici quintali e mezzo di materia prima, riscaldata a mezzo di vapore che scorre nelle sue intercapedini. Una volta riscaldato il latte, si procede all’aggiunta del siero innesto e quindi al caglio naturale. Questa è una delle altre fondamentali singolarità della produzione del nostro formaggio che, ancora una volta, deve la sua paternità a circostanza fortuite che fecero notare, sempre alla fine del milletrecento, come il latte, che per essere trasportato veniva introdotto in otri ricavate dallo stomaco degli ovini, coagulava, mentre quello posto in recipienti di coccio no. È da questa circostanza che il caglio diventò il cardine, l’ingrediente di svolta per la produzione del Parmigiano Reggiano, tanto che ancora oggi per tutte le produzioni di formaggio Dop è ammesso solo l’utilizzo di caglio di origine animale.