Caccia alla bufala: le armi che servono

serata sulle fake news promossa da Primo Piano e S.Martino in Rio

Manipolazione, disinformazione, clickbating: sono alcune delle parole che hanno incorniciato il 18 aprile scorso una affollata e attenta sala d’Aragona a san Martino in Rio. In questa cornice il quadro è stato l’incontro voluto dal nostro Circolo Culturale Primo Piano e dall’Associazione S.MART. in Rio, un gruppo di giovani nato nel dicembre 2016, che ha dato vita a più di 10 eventi in un anno a San Martino in Rio. La serata aveva per oggetto le fake news, le cosiddette bufale, con l’intervento di Gabriela Jacomella, scrittrice esperta in fact checking (verifica dei fatti), e di Federico Ruffo, giornalista d’inchiesta, inviato di Report.
La prima parte è stata un colloquio dinamico tra il pubblico e la scrittrice che ha paragonato le fake news a un pesciolino rosso che, con una pinna legata al dorso, si finge un pescecane.
Nel grande oceano di internet, le fake news sono come ciottoli e scogli che impediscono una navigazione sicura e serena. Ma perché si crede a queste bufale? Da dove sorge l’illusione di verità? Nelle fake news appaiono dati e numeri, riferimenti precisi, magari pregiudizi o riflessioni politiche che danno spessore di credibilità suscitando emozioni immediate. In altri casi c’è una foto a “confermare” la menzogna, modificata con Photoshop o abilmente scattata sfruttando riflessi o luci naturali. Jacomella ha mostrato una foto di presunti UFO luminosi immortalati sul lago di Lochness: non si trattava che del riflesso sul vetro di una luce, nella stanza da cui la foto era stata fatta.
Il dramma delle bufale contagia tutti coloro che attingono dal web per informazioni di qualsiasi tipo. Nessuno ne è immune, soprattutto perché provocano emozioni che ci intrappolano e perché le informazioni false sono generalmente ben nascoste.

Come fronteggiarle?

Controllare sempre che l’URL del sito sia giusto (che il giornale che stiamo leggendo sia “il Fatto Quotidiano” e non un fallace “il Fatto Quotidaino”). Controllare la data, che sia attendibile e coerente con le informazioni fornite. Fare attenzione al clickbating: porzioni di informazioni che non risultano mai complete e anzi, omettono il proseguo apposta per incuriosire il lettore e per fargli cliccare quel link. Verificare che le immagini siano veritiere. Cercare di capire chi c’è dietro quella notizia, chi l’ha diffusa (inserendo l’URL nel motore di ricerca). Fare attenzione ai BOT, cioè quegli algoritmi che permettono di creare identità false e di usarle a proprio piacimento. Verificare le fonti. Visitare un fact-checker.
Ruffo ha spiegato che in realtà, per quanto ben congegnata, la bufala non passa per grande analisi. Sono pochi elementi quelli che, inseriti nella notizia, attraggono e abbindolano il lettore: un uomo, magari immigrato, che aggredisce un minore o un animale, un gruppo di italiani o un italiano che si fa giustizia. Non si sa quando, una volta messe in rete, si fermino queste bufale. C’è un senso di responsabilità che investe tutti noi, poiché anche se nate per scherzo le notizie false possono essere pericolose e dannose sia per chi è coinvolto (qualcuno accusato di cose non vere, ad esempio) sia per chi ci crede.

 

Scienziati cinesi che vendono kit per confezionare gattini in bottiglia, insieme a trivelle assassine che distruggono l’habitat naturale delle sirene. Poi scie chimiche, reti wifi e vaccini killer, acqua minerale cancerogena e pale eoliche criminali, pericolo per tutti gli uccellini del pianeta. Dall’alba dei tempi il mondo è terreno fertile per truffe e leggende metropolitane. Sono le cosiddette bufale o, meglio, fake news: notizie false quanto fuorvianti, che affascinano l’uomo da sempre e che oggi corrono veloci sul blog e social network.
«Sono discorsi che funzionano – ci dice Paolo Attivissimo, giornalista informatico e cacciatore di bufale – storie facili da costruire e molto difficili da smontare, da verificare». Conquistano il pubblico perché fanno leva su paure diffuse: la salute, la sicurezza e la tecnologia che non conosciamo. Si costruiscono storie credibili e efficaci da comunicare, che prendono spunto da problemi reali come l’inquinamento o il riscaldamento globale per andare oltre, verso la fantascienza.
Ma perché trovare piacere nella cospirazione, nella psicosi di massa? La risposta – secondo Andrea Kerbaker, professore alla Cattolica di Milano – sta tra “entropia” e “ipocondria”. Tra quel memento mori che in ogni epoca ha sedotto con il suo immaginario di apocalissi e distruzione, diluvi universali e profezie Maya. E quella paura generalizzata, del diverso e del nuovo, che ci compiace e ci unisce. L’amore per il complotto diventa simbolo di un mondo che ha sempre bisogno di qualche battaglia da combattere per sentirsi vivo.
Pandemie, stragi e disastri sfiorati: il linguaggio della bufala passa per titoloni in grassetto, avvertimenti urlati a lettere maiuscole, punti interrogativi e approfondimenti che sveleranno ciò che tutti gli altri ci tengono nascosto. «Come si fa a contrastare le fake news? – continua Attivissimo – con l’educazione». Ovvero abituare fin da scuola al pensiero scientifico, insegnare la chimica, l’astronomia di base. «La strada per combattere le bufale è l’informazione, crescere una cittadinanza informata e competente. E poi avere sempre risposte buone». Spesso il giornalismo ribatte con spiegazioni complesse, ostiche, piene di numeri e tecnicismi. Ma anche la scienza, se raccontata bene, è affascinante. «Certo, gli allarmi viaggiano molto più veloci di qualsiasi altra storia. È naturale, umano. E a noi non resta che combattere l’istinto con l’unica arma che abbiamo: la razionalità».

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