Buona Scuola per buoni studenti

prima di bocciarla, proviamo ad applicarla

Centomila assunzioni, scuola-lavoro, leader educativi, school bonus, sette insegnanti in più per istituto, 200 milioni all’anno, card elettronica, scuola trasparente, innovativa e coi controsoffitti controfiocchi. 

Ecco le parole chiave della riforma “La Buona Scuola”.

Ma la riforma più discussa dai tempi di De Amicis Gentile renderà davvero la scuola italiana più buona?
Secondo noi sì.

Il 13 luglio, nella diversamente fresca Saletta Incontri della festa PD di Correggio, la deputata Manuela Ghizzoni ci racconta la riforma.
Insieme a lei, l’assessore alla cultura di Correggio, il dirigente del comprensivo “Correggio uno” e Siddhartha Pandit, neo diplomato con lode al liceo Corso, nonché futuro studente di medicina. 

Siddhartha introduce la serata con freschezza e decisione: «Non occorre essere renziani per avere fiducia in questa riforma».
E affronta le generali perplessità con sguardo rivolto al futuro.

“Come si diventa insegnanti?”
Negli ultimi 15 anni non poteva esserci una risposta precisa a questa domanda, perché i meccanismi del reclutamento erano precari: chi iniziava l’università volendo insegnare poteva trovarsi, dopo la laurea, con regole completamente diverse da quelle di 4 o 5 anni prima.

Il reclutamento degli insegnanti dall’ultimo concorso del 1999 a oggi ha avuto due caratteristiche: l’esorbitanza e il caos. 

L’esorbitanza perché venivano inseriti in graduatoria molti più docenti delle necessità scolastiche: ciò fomentava vane speranze, guerre fra poveri e, soprattutto, creava un tappo che impediva di assumere i miglior insegnanti di ogni generazione di laureati. 

Con la riforma si assume solo chi serve, e non di più. 

E poi il caos: le regole di reclutamento erano mutanti nel tempo e nello spazio. Nel corso di tre lustri si sono alternati: un concorso, le SSIS, i PAS, i TFA e di nuovo i concorsi, oltre a rimanere in vigore 3 (tre!) fasce di graduatorie, relitti dei concorsi precedenti.

Chi gode dall’esorbitanza e dal caos? 

Sicuramente non i neo-laureati, meditabondi davanti al cabalistico gioco delle assunzioni. Sicuramente non i giovani abilitati, logorati dal sistema sovietico delle graduatorie. Sicuramente non gli studenti, spettatori di una teoria di giovani supplenti alternati ad abbarbicate cariatidi. Forse i sindacati hanno pensato che dare la speranza (anche remota) di un posto a tutti i loro iscritti, avrebbe migliorato il sistema scolastico? Forse un sistema organizzato, ordinato e funzionante avrebbe fatto calare il numero dei loro iscritti? 

Forse solo nel caos è possibile proporre ricorsi e contro-ricorsi? Forse no. 

O forse sì. 

Ebbene, “La Buona Scuola” spazza via sia l’esorbitanza che il caos. 

Organizza un sistema maggiormente preciso, che assumerà l’8% di giovani insegnanti in più. 

Preferiresti che tuo figlio avesse un insegnante arrivato ultimo in un concorso di decenni fa, o primo nel concorso di quest’anno? 

La risposta dei sindacati a questa razionalizzazione è stata sguinzagliare una contestazione che eccitava il risentimento ancestrale giacente nel corpo docente e la paradossale paura del voto che hanno gli insegnanti.

Eppure gli insegnanti bravi non hanno nulla da temere da un giudizio, mentre gli insegnanti parassiti (se ce ne fossero, ovviamente!) non hanno avuto nulla da temere troppo a lungo. 

Del resto, un insegnante delle superiori dà circa un voto al mese ad ognuno dei suoi studenti. In classi da 25 studenti, significa un voto al giorno. In Italia ci sono circa 700.000 insegnanti. 

Ogni giorno settecentomila voti salgono al cielo urtano i registri. 140 milioni di voti all’anno. 

L’Italia ha 150 anni: 21 miliardi di voti dall’incontro di Teano. 

Questo calcolo approssimativo vuole dimostrare che gli insegnanti italiani hanno valutato miliardi di volte. 

Ma quante volte gli insegnanti italiani sono stati valutati?
Mai. (Escludendo bisbigli da spogliatoio e scarabocchi sui banchi.)
Finora, i presidi che avessero voluto tutelare i loro studenti dagli insegnanti poco efficienti, hanno potuto usare solo manovre degne di Cersei Lannister, Frank Underwood, Fantozzi.

È la prima volta che una riforma agisce sulla qualità degli insegnanti. 

Prima nel reclutamento e poi nella valutazione.
La valutazione degli insegnanti dev’essere a cuore di sindacati, studenti e insegnanti stessi, per il bene della scuola italiana.
L’esame più raffinato, il programma più avanzato o la dicitura più bislacca all’avanguardia non serve a nulla se l’insegnante entra in classe e legge Primo Piano la Gazzetta.
Gli insegnanti saranno assunti dallo Stato (non dai presidi), e successivamente si proporranno alle scuole, o verranno invitati da esse.
In questo modo si supera l’anonimato delle graduatorie: la professionalità non può essere semplificata in un numero.
I presidi non potranno né assumere né licenziare (cosa che non potrà fare neanche il Ministero), solamente scegliere quali insegnanti sono adatti per la loro scuola.

Ma allora si creano le scuole degli amici dei mafiosi degli amici!
Non necessariamente.
Infatti, migliori saranno gli insegnanti scelti, migliore sarà considerata la scuola, migliore sarà la fama del preside.
I presidi quindi avranno interesse ad avere insegnanti di alto livello per scuole di alto livello, e cercheranno di far incontrare prof e POF.
Inoltre con questo metodo, anche gli insegnanti potranno esercitare un controllo sul preside: un bravo insegnante rifiuterà un incarico in una scuola gestita dagli amici degli amici.
Il preside sarà quindi controllato “dal basso”, cioè dagli insegnanti e dagli studenti.
Inoltre la valutazione dei dirigenti verrà anche “dall’alto”, da parte degli Uffici Scolastici Provinciali, per gli aspetti tecnici e burocratici.
I presidi dovrebbero essere quindi spinti da più parti a rispondere nel modo migliore alle esigenze della scuola.

Mio figlio avrà dei bravi insegnanti?”
Fino ad oggi era possibile rispondere solo accendendo un cero incrociando le dita.
Da settembre 2016 ci saranno anche criteri più razionali del lancio di dadi.
Certo, niente è mai abbastanza. Forse i soldi stanziati e le novità approvate non basteranno a risolvere i problemi della scuola.
Ma è fondamentale avviarsi nella direzione giusta.
È un inizio buono: la scuola è stata portata al centro del dibattito e questo è importante in un paese che non dà importanza all’istruzione.
Questa legge può essere un primo passo per affrontare più seri problemi della scuola: ad esempio la logica dell’utile, che vorrebbe erodere l’insegnamento del greco e latino (di cui la scuola italiana è rimasta l’unico alfiere al mondo).
Un altro problema che la riforma può contribuire a migliorare è lo scarso rispetto della scuola e degli insegnanti tipico dell’Italia.
In India, ad esempio, i ragazzi vedono la scuola come unica opportunità di successo, e ciò li rende molto più competitivi. Chi non rispetta la scuola, fa un dispetto a se stesso.
Questa legge può essere un’opportunità importante, ma le cose funzionano se vogliamo farle funzionare.
Il nostro augurio è che almeno si provi ad attuare “La Buona Scuola”, senza i pregiudizi che ne hanno accompagnato l’iter parlamentare.
L’orgoglio va ora messo da parte perché non vince nessuno se si fa di tutto per dimostrare che la legge è dannosa: se la legge è positiva ci guadagniamo tutti.

«In Italia è difficile fare le riforme» conclude Manuela Ghizzoni: infatti per far passare questa legge c’è stato bisogno della “fiducia”. 

Esatto. Diamole fiducia.

Matteo De Benedittis e Siddhartha Pandit

L’articolo si occupa solo dell’aspetto della riforma che riteniamo più importante: la qualità degli insegnanti. 

Gli altri punti si trovano qui:
http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/web/ministero/focus090715

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