Ci voleva un virus per riportare un po’ di bon ton nei comportamenti più elementari delle persone, riportandoci ai tempi in cui i nostri nonni si premuravano di trasmetterci alcune regole basilari. Dovevano essere delle norme scritte a dirci che non bisogna starnutirsi direttamente sulle mani ma che è sempre bene circoscrivere il tutto in un fazzoletto. E pensare che questo lo si diceva già nel Galateo originale del 1558: molto probabilmente il messaggio di allora, non avendo avuto la possibilità di viaggiare sui social, non ebbe modo di raggiungere una platea di persone così ampia come quella investita oggi. Per certi versi dovremmo ritenerlo umiliante, visto che molto probabilmente per capirlo sarebbe bastato solo un po’ buon senso e il rispetto per le persone che ci stanno vicino, non solo oggi ma in ogni occasione quotidiana. Invece, tanto siamo preparati in materia, c’è addirittura chi ha suggerito in alternativa al fazzoletto, magari per gli starnuti più urgenti od i colpi di tosse, di soffocare il tutto con la manica a livello del gomito. Per il momento, si intende, perché se il virus perdurerà fino ai giorni in cui ci metteremo le maniche corte dovremo attendere nuove disposizioni. Anche perché, parliamoci chiaro, anche il gomito è un punto di contatto frequente fra le persone ed a maggior ragione di questi tempi, non potendosi più stringere la mano, la toccatina di gomito sta diventando una consuetudine. Un ricercato scambio di microbi che avverrà alla prima occasione di tosse o starnuto che sia, a seguito del quale andremo ad affondare il naso in quel nido di germi che qualcuno, chissà con quale competenza od autorevolezza, ci ha suggerito di costruire. A volte non ci sono parole. Servono i fatti. Ed un fatto che ci si sarebbe potuti aspettare in questi giorni sarebbe potuto essere un deciso divieto di sputare per terra. Brutto a dirsi, certo, ma purtroppo questo è atteggiamento sempre più frequente che andrebbe sanzionato, non solo per la situazione contingente ma per legge.
Gli atteggiamenti importanti da mettere in atto in questo periodo, che si spera possano ritornare regole di buon comportamento anche per il futuro, sono anche altre.
Vogliamo parlare della posate di portata?
Anche in questo caso il momento contingente porta al pettine consuetudini ormai ampiamente diffuse, ma rispetto alle quali occorrerebbe urgentemente ricredersi. Per posate di portata si intendono quelle a corredo di un piatto unico che viene posto al centro della tavola e dal quale ogni commensale si andrà a servire autonomamente. Sono importanti per evitare che si vada ad attingere nel piatto comune con la forchetta che magari, pochi istanti prima, è stata portata alla bocca per mangiare un’altra pietanza. La classica risposta che si sente dire in questi casi è “si ma tocco solo quello che prendo”. Balle. Potrebbe essere vero dal punto di vista teorico, anche se di fatto non è mai così, visto che sono molto frequenti operazioni di spostamento per accedere alla fetta più piccola, a quella più grande, a quella più cotta e via di seguito. Per non parlare poi di chi, e questo accade solitamente quando il piatto di portata è quasi vuoto, va ad attingere direttamente con la propria forchetta e porta direttamente alla bocca quanto infilzato senza passare nemmeno per il proprio piatto. Poi magari ripete anche. Fateci caso e scoprirete che questi atteggiamenti sono molto più diffusi di quanto vi aspettavate. Tanto che in molti locali addirittura le posate per il piatto di portata non rientrano nemmeno nella logica del ristoratore che, non si sa per quale motivo, non le mette. In una cena a base di gnocco e tigelle, per esempio, oggi è forse più probabile la loro assenza che viceversa. E non si dica che in questo caso la forchetta personale serva appunto per servirsi e che non venga mai portata alla bocca, perché questo è effettivamente impossibile. Osservare per credere. Se vogliamo poi sbizzarrirci ulteriormente nelle osservazioni, giusto per renderci conto di quanto sia in disuso l’utilizzo di una portata di servizio dedicata solo a quello scopo, basta osservare le situazioni più virtuose. Fateci caso: quando un ristoratore preparato e scrupoloso porta le posate di portata queste, prima o poi finiscono per essere trattenute da un commensale poco avvezzo a queste attenzioni. Purtroppo questo è facilmente individuabile perché ad un certo punto della conviviale ci sarà qualcuno che si ritroverà con due posate. A meno che, una volta scoperta la gaffe, questo si affretti a rimettere la posata nel piatto di portata: sperando che le posate sia differenti e distinguibili, altrimenti si rischia che nel piatto di portata vada a finire quella che fino a poco prima egli ha portato in bocca. Saranno pignolerie o segnali di quanto buon senso abbiamo perduto?
Per non parlare del telefonino.
Il telefonino è forse l’oggetto meno igienico in senso assoluto che ci troviamo fra le mani. In ogni istante della giornata ed in ogni luogo. Lo portiamo frequentemente all’orecchio, lo tocchiamo in ogni circostanza, sia con le mani pulite che con le mani sporche, ma rispetto alle mani, che magari ci laviamo con una certa frequenza, non lo laviamo quasi mai. Lui ovviamente continua ad immagazzinare germi e sporcizia, ma è un oggetto che amiamo così tanto da considerarlo pulito anche se di fatto non lo è assolutamente. Questo di per se ci dovrebbe fare riflettere già a sufficienza senza dovere arrivare addirittura a parlare della cover, che, di fatto, è un nido di microbi e di sporcizia ancora più capiente del telefono stesso. Passiamo il nostro tempo conviviale a passarcelo di mano uno con l’altro dicendoci “… guarda questo… guarda quello… guarda cosa mi ha mandato…” e via di seguito. Spesso ce lo passiamo insistentemente addirittura a tavola facendo passare l’aggeggio sulle pietanze, incuranti non solo della maleducazione di escludere dalla conversazione gli altri commensali, ma soprattutto ignari delle più elementari regole di igiene. Come se non bastasse poi lo appoggiamo sulla tovaglia, magari in compagnia di chiavi e portafogli: la cosa più anti-igienica non si possa fare. Fateci caso: purtroppo è così, e sono situazioni molto più diffuse e frequenti di quanto si possa pensare; talmente diffuse e frequenti che ci siamo addirittura abituati a ritenere normali, quando al contrario dovremmo considerarle meschine. Che sia giunto il momento di essere meno distratti ed incuranti del buon senso e del rispetto degli altri?
Impareremo mai a dosare l’uso del telefonino?
Se è vero che gli smartphone non sono il massimo dell’igiene, è allo stesso modo vero che in questo periodo di quarantena si sono rivelati indispensabili per dialogare, informare e creare alternative di svago. La loro funzione in effetti è soprattutto quella, anche se non va sottovalutato il fatto che siamo tutti a rischio di smartphone-dipendenza. Non siamo più in grado di decidere quando l’utilizzo è indispensabile o meno. Il 61% di noi lo usa a letto, il 34% a tavola. Quello che è ancora peggio è che, secondo un indagine del Censis, il 14% degli italiani ammette di navigare o scambiarsi messaggi anche alla guida. Se limitassimo questa indagine ai soli giovani questa percentuale salirebbe al 20%. Il 77% degli internauti italiani ha rivelato che non riesce ad addormentarsi senza collegarsi ai social di notte, mentre il 63% accede alle reti sociali la mattina appena si sveglia (magari in bagno, tanto per tornare a parlare di igiene). Sembriamo tutti consapevoli del fatto che i lunghi momenti della giornata dedicati ai “social” sono in realtà tempo sprecato e addirittura il 28% degli intervistati ha la sensazione che internet induca ad una sorta di dipendenza. Solo il 28,6% ha fatto passi per correggere questo comportamento. Un 11,7% vive con l’ansia di non potersi connettere al web.