A volte nella vita si creano situazioni di contrasto, tensioni nei rapporti interpersonali, nelle relazioni commerciali e nelle transazioni economiche. Generalmente in questi casi la prima reazione è il rimpianto dei tempi antichi, nei quali le persone erano più oneste e avevano maggiore correttezza. Bastava una stretta di mano.
L’era asê na strichêda ed man, dal volti taiêda da un mediatór.
Era sufficiente una stretta di mano, a volte tagliata (divisa con un gesto) da un mediatore.
La cultura popolare induce ad una maggiore prudenza. Un modo di dire molto conosciuto consiglia di stipulare un accordo scritto e firmato con la convinzione che questo tuteli le parti e faccia dormire sonni tranquilli ai contraenti, anche quando non hanno specifiche conoscenze legali.
Chêrta canta, vilan dorem.
Carta canta (specifica ogni cosa), villano dorme (è tranquillo).
Le persone sagge e più avvedute hanno però la consapevolezza che per evitare contrasti e discussioni fornisca maggiori garanzie e tutele la correttezza e l’onestà delle persone che si hanno di fronte rispetto alle parole scritte nei contratti, che i malintenzionati e i disonesti possono sempre impugnare.
L’è d’mei na persouna onesta che un boun cuntrat.
È meglio una persona onesta che un buon contratto.
Quando ormai si è entrati in contenzioso si ritiene che sia opportuno usare il buon senso, non esagerare nelle pretese e cercare delle mediazioni. La composizione dei conflitti richiede sempre un paziente lavoro di ascolto delle ragioni delle parti e l’individuazione di soluzioni che rappresentino un punto di incontro che offra soddisfazione ad entrambi.
Ed quistiunêr in boun tút… dop a gh’vol un quelchidun cun dla cunisioun ch’a s’mèta d’acordi!
Di bisticciare sono capaci tutti… dopo serve qualcuno che con intelligenza trovi un accordo.
La strada del conflitto è sempre impervia, piena di insidie, di imprevisti e dispiaceri… inoltre non vi è mai certezza sull’esito finale.
S’te ve per avuchêt te gh’armèt di sold e dla salút.
Se vai per vie legali ci rimetti dei soldi e della salute.
In Italia più che in altri paesi le persone spesso ricorrono all’avvocato per far valere le proprie ragioni in sede giudiziale.
Il termine avvocato deriva dal latino advocare “chiamare presso”, cioè chiamare un professionista esperto di legge a difendere verbalmente i propri interessi.
Nonostante sia un professionista di fiducia, scelto con attenzione per la sua competenza e correttezza, l’avvocato però nella cultura popolare non gode di buona reputazione. Manzoni aveva efficacemente sintetizzato la figura in una parola: azzeccagarbugli.
Nei modi di dire questi professionisti vengono descritti come persone che con il loro eloquio possono sostenere qualsiasi teoria, ingarbugliare la realtà e alterare la percezione degli accadimenti e delle responsabilità, prive di scrupoli, pronte a lucrare sulla ingenuità e la testardaggine delle persone. Chi si mette nelle loro mani rischia di fare una brutta fine.
I sioch e j’ustinê / i fan sgnor j’avuchê.
Gli stolti e gli ostinati / fanno ricchi gli avvocati.
L’è d’mei un pundegh in boca a un gat / che un client in man a n’avuchêt.
Sta meglio un topo in bocca ad un gatto / che un cliente in mano ad un avvocato.
I pret i viven ed chêrna morta / i dutor ed chêrna maleda / j’avuchet ed chêrna rabîda.
I preti vivono di carne morta (funerali) / i dottori di carne ammalata / gli avvocati di carne arrabbiata.
J’avuchêt i caschen tút a l’inferen / c’me casca la neva tút j’inveren.
Gli avvocati cadono tutti all’inferno / come cade la neve tutti gli inverni.
Nella percezione delle persone non tutti gli avvocati sono uguali e così si sono creati degli stereotipi che mettono in luce pregi e difetti dei vari professionisti.
L’avuchêt ed ghégna.
L’avvocato di “faccia” (fama, grido).
È l’avvocato più bravo, più stimato, quello che vince le cause. Si ritiene sia dotato della “parlantina” necessaria ad argomentare le ragioni e a convincere i giudici della “cattiveria” utile ad intimorire gli arroganti ed eventualmente disponga di “santi in paradiso”, capaci di intervenire quando le situazioni sono disperate.
L’avuchêt ed mèsa taca.
L’avvocato di “mezza tacca” (con capacità limitate).
Legale di non sicura affidabilità, non molto strutturato… un mestierante senza arte né parte. Pratica il mestiere senza disporre degli strumenti necessari di conoscenza e di retorica. Si arrabatta come può in un mondo complicato del quale non riesce ad essere padrone.
L’avuchêt dal causi persi.
L’avvocato delle cause perse.
È l’avvocato che assume il compito di difendere ragioni legali indifendibili, assurde, prive di ogni logica pur di poter lucrare. Questa definizione viene usata anche per quelle persone che per loro natura o per innata originalità hanno passione nei dibattiti a difendere tesi prive di fondamento, argomentazioni insostenibili, a volte perfino paradossali.
Avuchêt dal dievel.
Avvocato del diavolo.
Questa espressione definisce la condizione di una persona che volontariamente assume il ruolo di controparte e sostiene argomentazioni che mettono in discussione la veridicità di tesi già accettate, non perché ne è convinta ma per alimentare una discussione o verificare la fondatezza delle altrui posizioni. In passato questo ruolo era affidato al promotore della fede che era incaricato di apportare argomenti che mettessero in discussione le virtù dei candidati alla canonizzazione.
Avuchêt desnóv.
Avvocato diciannove.
Questa espressione viene utilizzata indicare per l’avvocato che non ha mai vinto una causa. Ha ottenuto la laurea in giurisprudenza e l’abilitazione ad esercitare la professione, ma non ha le capacità, il talento e forse anche le motivazioni per svolgere adeguatamente il mestiere. La definizione gioca sul doppio senso della parola vînt che, a seconda del contesto nel quale viene utilizzata, può significare vinto oppure il numero venti.
L’è un avuchêt desnóv… l’a mai vînt na causa.
La condizione di un professionista che non ha mai vinto (vînt) una causa viene efficacemente espressa dal numero diciannove che non arriva al venti (vînt).