Marcello Catellani, 24 anni, vive a San Martino in Rio. Frequenta l’ultimo anno di Ingegneria presso l’Università degli Studi di Bologna. Diplomato al Blaise Pascal di Reggio Emilia nel 2017, dal 26 giugno 2023 è un donatore effettivo di midollo osseo.
Come hai conosciuto l’Associazione Donatori Midollo Osseo?
«Ho conosciuto l’Associazione tramite un incontro organizzato dal nostro professore di educazione fisica delle scuole superiori. Sperava di diffondere consapevolezza ed informazione su un argomento delicato quale la donazione del midollo, magari convincendo qualche studente ad iscriversi al Registro. Al termine dell’incontro nessuno si tirò indietro. Fu in quell’occasione che conobbi Federica, la “regista” di ADMO Reggio Emilia».
Cosa ti ha convinto a entrare nel Registro Donatori?
«La mia esperienza personale. Ho amici e parenti (in primis mio nonno materno, scomparso prima della mia nascita) deceduti prematuramente a causa di tumori: probabilmente sarebbero ancora tra noi se fosse stato possibile curarli con trapianti da donatori sani. Per quanto rimanga una remota possibilità, per i malati di leucemia rimane solo la speranza del trapianto. Mi è stato insegnato che se possiedo qualcosa in abbondanza ho il dovere morale di donarlo a chi non ha la stessa fortuna, a maggior ragione se può salvare una vita. Donare una parte di sé ad un estraneo è forse la forma più nobile di altruismo. Ho un’inguaribile speranza in un mondo migliore».
Prima di iscriverti avevi una percezione sbagliata sulla donazione?
«Devo ammettere di sì. Nell’immaginario collettivo si confonde il midollo osseo con il midollo spinale: si pensa subito ad un’operazione chirurgica nella colonna vertebrale mediante l’uso di aghi intraossei, decisamente invasivi. La realtà è un’altra: la medicina ha compiuto passi da gigante ed ora è possibile estrarre cellule staminali direttamente dal sangue, mediante una centrifuga molto simile a quella usata nella plasmaferesi. Questa metodologia è chiamata donazione da sangue periferico: non è altro che un prelievo di sangue a doppio accesso venoso, davvero poco invasivo. Donare il midollo osseo non ha alcuna conseguenza sul donatore, altrimenti nessun medico lo permetterebbe».
Come hai reagito alla chiamata?
«Mai avrei pensato di poter essere convocato: la probabilità di risultare compatibili con potenziali riceventi è molto bassa. Ricordo molto bene il giorno della chiamata: era il luglio del 2022 e faceva caldissimo. Dopo una giornata in Università ho guardato il telefono e ho visto qualche chiamata persa da un numero sconosciuto col prefisso di Reggio Emilia. Ho richiamato e, con mio grande stupore, ho sentito Federica dall’altra parte del telefono. In quel momento non avevo la minima idea di come avrei dovuto comportarmi. Ho preso tempo, mi sono fiondato a casa e ne ho parlato coi miei genitori che, come al solito, si sono dimostrati ottimi consiglieri».
Com’è avvenuta la donazione vera e propria?
«Nei giorni successivi alla chiamata ho dovuto effettuare diversi esami al Centro Trasfusioni di Reggio Emilia, per confermare l’assoluta compatibilità col paziente e per accertare che il mio stato di salute fosse idoneo. Tutto superato a pieni voti. Da quel momento è trascorso quasi un anno: a maggio sono stato avvisato che il paziente era pronto a ricevere il mio midollo. Dopo tutto quel tempo pensavo che l’eventuale ricevente non ce l’avesse fatta e che tutta la procedura fosse stata accantonata. Se si arriva a questo punto, invece, è perché il paziente ha raggiunto una condizione stabile, ideale per procedere con la donazione: è in grado di sostenere la “rimozione” del proprio sistema immunitario per sostituirlo con quello del donatore.
La preparazione alla donazione è il momento più delicato, soprattutto dal punto di vista psicologico. Mi vergogno un po’, soprattutto se ripenso a quello che ha dovuto passare il paziente, ma devo ammettere di aver avuto momenti di incertezza. Temevo di non riuscire a sostenere la donazione. Anche solo un raffreddore avrebbe rimandato la raccolta. La vita di una persona dipendeva interamente da me, dal mio fisico e dal mio stato di salute. I miei genitori e i medici mi hanno fortemente tranquillizzato; il loro sostegno psicologico è stato fondamentale, approfitto dell’occasione per ringraziarli ancora una volta.
La donazione per sangue periferico prevede l’assunzione di farmaci che aumentano la concentrazione delle cellule staminali emopoietiche nel sangue. I dottori mi hanno spiegato che spesso questa procedura causa qualche sintomo influenzale: nel mio caso, invece, nemmeno una linea di febbre o un colpo di tosse. Il 26 giugno mia madre mi ha accompagnato al Centro trasfusionale del Santa Maria Nuova. Gli infermieri mi hanno attaccato alla macchina tramite i due accessi venosi. È andato tutto liscio, esattamente come mi era stato anticipato nelle sedute esplicative: senza fare alcuno sforzo, in quattro ore si è conclusa la procedura. Fa tutto la macchina. Al termine ricordo solo un po’ di stanchezza e una gran voglia di mangiare le lasagne che mi aspettavano a casa. Mentre mi cambiavo è apparsa Federica per congratularsi e ringraziarmi. Ricordo nitidamente il suo discorso: “ancora non ti rendi conto fino in fondo di ciò che hai appena fatto”. Aveva ragione, anzi, tutt’ora non me ne capacito. Dal punto di vista medico, un donatore di midollo è soggetto ad esami di controllo periodici nei dieci anni successivi alla donazione. Questo, ancora una volta, evidenzia quanto il donatore sia tutelato anche nel post donazione».
Cosa diresti ai tuoi coetanei per invitarli a iscriversi al Registro?
«Se tutti si iscrivessero ad ADMO, le probabilità di riscontrare compatibilità con un malato di leucemia sarebbero ben più elevate rispetto ad oggi. Statisticamente è una su centomila: sembra bassissima, ma significa avere migliaia di potenziali donatori per ogni malato. Per essere chiamati, tuttavia, è necessario essere iscritti al registro che, è bene ricordarlo, è su scala mondiale. Anch’io, come tutti, ho avuto il mio momento di fragilità. Penso sia assolutamente normale avere timore: la paura verso l’ignoto è la cosa più umana che esista. Ecco perché è importante affidarsi ad esperti che conoscono a fondo la materia, in grado di dare il loro appoggio psicologico e fornire al potenziale donatore ogni strumento per effettuare una scelta consapevole.
Direi loro che è gratuito e non richiede alcuno sforzo: basta un tampone salivare. Negli anni successivi si viene contattati solo in caso di compatibilità; si rimane nel registro fino ai cinquantacinque anni. Iscriversi significa mandare un messaggio fortissimo, mettersi a disposizione di chi ha bisogno, dare la speranza di una seconda possibilità. Avere l’opportunità di salvare una vita è indescrivibile, è qualcosa che ci si porta dentro per il resto della vita e fa sentire davvero speciali».