Alla ricerca di pace e lavoro

L’accoglienza dei profughi in provincia raccontata da Tommaso Menozzi de l'ovile

In questi giorni mi sono spesso saltati all’occhio commenti sui quotidiani on-line e social network sul tema vastissimo dell’immigrazione.

Ammetto di essere un po’ frastornata e confusa dalla disperazione e dalla ferocia di alcuni di essi: la tragedia della morte di uomini, donne e bambini viene vissuta con sofferenza ma anche con un po’ di sollievo… cosa sta accadendo agli uomini?

Non credo si possa affrontare l’argomento in modo semplicistico e dividendo la popolazione in buoni (ovviamente coloro che fanno dell’accoglienza un valore sempre e comunque) e cattivi (coloro che sarebbero etichettati come razzisti e incapaci di leggere la sofferenza altrui).

La situazione è difficile e complessa; se i sentimenti verso l’accoglienza di tanti concittadini sono così ostili, dobbiamo chiederci cosa non sta funzionando nella società e nelle politiche nazionali, europee e internazionali.

La disperazione di chi non riesce a trovare lavoro o di chi l’ha perso e non sa come andare avanti, le difficoltà di artigiani e imprenditori ad aprire la “serranda” tutte le mattine, la sfiducia nel futuro e nelle istituzioni portano anche a questi sentimenti.

 

Per cercare di fare un piccolissimo passo avanti nella reale conoscenza di ciò che sta accadendo, almeno nella nostra provincia, ho deciso di fare due chiacchiere con Tommaso Menozzi della Cooperativa Sociale L’Ovile di Reggio Emilia, responsabile dei progetti d’accoglienza profughi.

Tommaso mi racconta subito una storia come tante che abbiamo letto e sentito, ma Tommaso parla di una storia che ha conosciuto in prima persona.

«S.M. è un ragazzo del Mali di 23 anni, arrivato in Italia nel giugno del 2014. Il Mali è un paese che, come tanti paesi africani, ha una situazione politica molto instabile, con continui colpi di stato e guerriglie tra la popolazione. Nel 2012, il padre di S.M. era nell’esercito e la sua famiglia sosteneva il governo in carica. Ma dopo l’ennesimo colpo di stato e l’inizio della persecuzione degli oppositori, si persero le tracce del padre e S.M. divenne improvvisamente “l’uomo di casa”, con il compito di provvedere alla madre e ai suoi fratelli.

Vista la situazione politica e familiare, S.M. decise di andare in Libia da uno zio e cominciare a lavorare.

Dopo mesi di lavoro non retribuito e in seguito alla sua richiesta di percepire il salario, venne picchiato e fatto incarcerare dal “padrone”. Avrebbe voluto tornare in Mali, ma la situazione era troppo pericolosa. L’unica possibilità era partire per l’Europa.

Così acquistò un biglietto per le coste italiane per una spesa complessiva di circa 1200 : lui e un centinaio di altri ragazzi vennero stipati su una barchetta, con la promessa di trovare una nave al largo che li avrebbe accompagnati. In realtà sarebbe stata quella la loro imbarcazione. Giunti alle coste della Sicilia vennero recuperati da una motovedetta italiana e poi smistati tra le varie Regioni. È così che è S.M. è arrivato a Reggio Emilia. E lui è molto esplicito quando dice quello che cerca: pace e lavoro».

Chiedo a Tommaso: cosa fa la Cooperativa L’Ovile nella gestione profughi e per conto di quali enti? Quanti sono i profughi accolti in provincia di Reggio Emilia?
«La Cooperativa L’Ovile insieme ad altre 4 Cooperative Reggiane (Dimora d’Abramo, Papa Giovanni XXIII, Ceis e Madre Teresa) ha costituito un’ATI (Associazione Temporanea d’Impresa) per la gestione dell’emergenza profughi che ha vinto il bando della Prefettura di Reggio Emilia.
Lavoriamo su molti aspetti: vitto e alloggio, la gestione sanitaria e del percorso burocratico per il riconoscimento dello status di rifugiato, progetti e interventi di inclusione sociale (dall’apprendimento della lingua ad esperienze formative e di volontariato).
Molti dei rifugiati eseguono per i Comuni piccoli lavori di manutenzione, altri volontariato all’Oratorio Cittadino, nei centri sociali o nelle Casa di riposo.
Queste sono le attività più importanti e preziose, perché permettono di creare ponti e legami.
Attualmente L’Ovile ospita 34 migranti in 5 appartamenti, affittati da privati cittadini a libero mercato.
Dall’inizio dell’emergenza sono passati in provincia di Reggio Emilia circa 350 profughi, alcuni sono andati via dopo qualche giorno, ma la maggior parte di loro termina il percorso per aspettare la regolarizzazione dei documenti».

Quali sono le principali difficoltà incontrate?
«Le difficoltà sono legate ai tempi burocratici per l’ottenimento del permesso.
Infatti, esistono tre possibilità: può essere riconosciuto l’asilo politico della durata di 5 anni, può essere riconosciuto il permesso per motivi umanitari di 1 anno oppure la domanda può essere respinta.
Il problema è che i tempi per ottenere i permessi vanno da un minimo di 10 mesi ad un massimo di 14. In questi mesi i migranti accolti non possono lavorare.
Questo crea molti problemi, perché spesso, come nella storia di S.M., chi fugge dal proprio paese ha lasciato famiglie che non hanno nulla, che aspettano aiuti economici per poter vivere.
Inoltre senza poter avere un reddito dal lavoro (sempre ammettendo di trovarlo), non sanno come vivere in Italia se non attraverso il contributo giornaliero che viene riconosciuto per la loro accoglienza.
L’ultima difficoltà è che una volta ottenuto il permesso, dopo due settimane si esce dal progetto di accoglienza, senza poter creare un minimo di accompagnamento e fuoriuscita da un percorso molto tutelante ma che non permette l’autonomia».

Veniamo al famoso contributo di circa 35 € al giorno che ha fatto tanto scalpore. Chi e come gestisce questi fondi?
«Il contributo viene riconosciuto alle cooperative dell’ATI che hanno vinto in bando della Prefettura per la gestione totale dell’accoglienza: pagamento dell’affitto o di camere in ostelli e alberghi, vitto, assunzione di collaboratori, spesso giovani educatori, per la gestione e il coordinamento del progetto eccetera».
Solo 2,5 € al giorno del contributo totale vengono lasciati ai migranti e molti di loro inviano questi soldi alle loro famiglie nei paesi di origine.
Nel nostro territorio la gestione dei profughi ha anche creato occasioni di lavoro per giovani educatori e coordinatori assunti dalle cooperative.
Inoltre ha permesso ad alberghi ed ostelli di respirare un pochino, e ad alcune famiglie di dare in locazione alloggi sfitti e ricevere un affitto di mercato garantito.
Lo scandalo dei mesi scorsi di alcune cooperative romane ha toccato molto le cooperative locali che cercano di lavorare con una progettualità, affiancando ai migranti educatori che abbiano in mente anche occasioni di formazione e possibilità di inclusione nei territori».

È vero ciò che si sente su richieste difficili, rifiuto di alberghi e mantenimento economico?
«A noi non è mai capitato, le richieste che riceviamo riguardano la possibilità di lavorare, poter vivere in pace e non essere incarcerati, potersi occupare delle proprie famiglie. Certo tanti mesi senza aver la possibilità di cercare lavoro creano frustrazione, stanchezza e delusione, e come educatori ci troviamo a dover gestire e affrontare anche questi problemi».

Condividi:

Leggi anche

Newsletter

Torna in alto