Ho incrociato al Covìd che girava per Correggio, nel giardinetto di San Francesco non lontano da Piazza Padella. Era meno che microscopico, ovviamente, essendo la più piccola forma vivente. Ma io, modestamente, ci vedo bene: l’ho riconosciuto subito per via dei brufoli che lo fanno assomigliare, nel suo piccolo, ad una bomba marina di sbarramento. Così ho lasciato Pistoun e Gramlèina, con cui ero in compagnia, e ho incantunè al Covìd.
Il virus sembra stanco. «Mi hanno detto che qui potevo fare l’autostop, ci sono dei ragazzi che fanno casino fino alle tre di notte. Sa, se non mi danno un passaggio loro non vado tanto lontano, giusto la distanza di uno starnuto. Il fatto è che da quando le mascherine sono diventate di moda, colori sgargianti e paillette, è diventata dura».
É lui, dunque, l’assassino. «Visto che siamo qua, zuvnòt, spiegami da dove vieni: esperimenti militari, pipistrelli in salmì, zibetti del caffè, cammelli che sputano…?».
«É una storia romantica. Mio padre conobbe mia madre in uno dei rinomati bordelli della cucina etnica di Wuhan e se ne innamorò, ma la tenutaria non era d’accordo. Così la rapì a cavallo di una “nuvola di drago” e chiese il nullaosta al Tribunale del Popolo. Presentò una relazione tecnica controfirmata da dieci virus del regime e un burocrate dell’ufficio igiene lo autorizzò a metterla incinta. Appena svezzato, i miei genitori mi mandarono in giro per il mondo a imparare le lingue».
«T’è al bagai più ghignos dal mond, sei l’essere più antipatico al mondo» lo aggredisco.
Al Covìd sembra sinceramente addolorato. «Mica è colpa mia, io cerco solo di sopravvivere. Del resto, anche gli umani non stanno tanto simpatici ai polli. Ma per fortuna ci sono i negazionisti, quelli dicono che è tutto un complotto per vendere mascherine e banchi da scuola e per metterlo nel culo a Salvini. Bravi. E poi quei grandi pensatori, che pur di non smettere un attimo di fare affari dicono “tanto, di qualcosa si deve ben morire!” e spiegano che basta aspettare, come fanno le pecore, l’immunità di gregge. Geniali! Per me si spalancherebbe un mercato di sette miliardi di pecore».
«Eh, una volta, quando non c’era l’informazione, i virus i balèven…».
«Certo che l’informazione per noi è una minaccia. Però ci sono i supereroi di destra, quelli palestrati e convinti d’aver comprato l’immortalità, che impongono la loro informazione e mi difendono. Dicono: colpa degli immigrati. E poi vanno a gozzovigliare in Sardegna. Li adoro».
Quel Covìd lì proprio non mi fa pena. «T’e fat un gran burdèl! Hai fatto un gran casino, ma ora non te la passi più tanto bene, mi pare» gli dico.
«Le democrazie mi hanno fatto la guerra usando armi di precisione: distanziare un metro, un metro e venti, due metri, niente sugli aerei, 80% sui mezzi pubblici; un quarto d’ora in bus per l’ammasso, stramasso sulle tradotte per pendolari, niente ammasso negli altri luoghi purché non siano su ruote; lavarsi le mani per almeno 40 secondi o sanificarle dieci volte al giorno; mascherine sempre, mai, solo al chiuso, solo di sera e di notte. Mi vien da ridere. Eh, le troppe autonomie locali mi aiutano, e anche gli scienziati, tutti a dire il contrario dell’altro per un’apparizione in tv. In mezzo al casino il mio acido nucleico va a nozze e comincia a conquistare qualche cellula, visto che io non ne possiedo una e, senza, sono solo un poveraccio».
«Però ti trovo più asintomatico di prima» gli dico per ferirlo. «Il tuo abito presenta delle molecole proteiche un po’ frùsti».
«La vita è difficile per tutti. Ma ce la faremo. Per farci coraggio noi virus ci diciamo che andrà tutto bene. E poi l’asintomatico è molto utile, ci porta in tour senza farci pubblicità: in nero, sostanzialmente. Sopravviviamo insieme. Perché confido molto nella soluzione “bisogna imparare a convivere col Covid”: è quello che piacerebbe anche a me. Se lei ci pensa, siamo tutti sulla stessa barca».
Non demordo: «Mi dispiace per te, ma ormai i t’an tot al msuri. Mi sembri un virus inseguito dai tamponi, milioni di tamponi»-
Al Covìd è sempre più confuso. «Veramente i complottisti dicono che a venire tamponati ci guadagnano solo i carrozzieri».
Sento che adesso è venuto il momento del duello finale. Mi tolgo la maschera e mi rivelo per quel bounty killer che sono: «T’è propria imbaciuchì, sei proprio suonato, Covìd! Sono uno dei duecento vaccini che ti danno la caccia».
Il virus non sembra impaurito come pensavo; mi guarda con curiosità e s’informa: «Russo o americano? Perché se sei russo non sei affidabile, la loro specialità una volta erano i veleni non i vaccini. E se sei americano non c’è problema, ci mettiamo in affari insieme: ci penso io a procurarti i clienti».
Rido per commiserazione. Al Covid non si rende conto: io sono il vaccino italiano, e il popolo che da secoli cucina la coda di bue alla vaccinara non può sbagliarsi!