La scomparsa del fondatore di Emergency ha dato vita ad un intensissimo ricordo collettivo. Due nostri illustri concittadini, Claudio Maioli e Guido Silvestri, in arte “Silver”, hanno deciso di condividere con la redazione ed i lettori di Primo Piano le loro toccanti testimonianze di amicizia con Gino Strada. Li ringraziamo profondamente per il loro contributo, che segue.
Ho conosciuto Gino Strada nel 1999, in occasione della guerra nei Balcani. L’ Italia, per la prima volta dal 1945, era in guerra e bombardava. Andava contro la Costituzione che all’articolo 11 recita: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Il governo era di sinistra, guidato da Massimo D’Alema, e chiese alla musica di fare qualcosa per la missione umanitaria governativa “Arcobaleno”. «Ma come? Li bombardiamo e poi andiamo ad aiutarli?» mi chiesi. Cercai quindi un’associazione non governativa. Un amico comune, Nico Colonna di Smemoranda, mi mise in contatto con Gino Strada. Così conobbi lui ed Emergency, che da pochi anni aveva fondato.
Da quell’incontro nacque il progetto “Il mio nome è mai più”, una canzone cantata da Ligabue, Piero Pelù e Jovanotti. La casa discografica e gli artisti versarono tutto il ricavato della vendita del cd (ad oggi il singolo più venduto in Italia) ad Emergency (2 miliardi di lire) con cui poi Gino costruì un ospedale a Kabul in Afghanistan. Il brano era contro ogni guerra.
Gino Strada fin da subito mi sembrò quella persona vera, onesta e solidale che negli anni a seguire ho conosciuto meglio ed apprezzato. Gino era così, crudo e schietto, ateo e di sinistra, carismatico ed incazzato col mondo, perché il mondo non capiva che le guerre ammazzano i civili e soprattutto i bambini, con quelle mine antiuomo colorate come giocattoli. Sì, avete letto bene, la mente umana è arrivata a partorire mine antiuomo colorate affinché un bambino le percepisca come un giocattolo e sia attratto da loro. Gino, poi, a quei bambini sopravvissuti in giro per il mondo, martoriati dalle bombe, spesso doveva amputare arti senza anestesia, con seghe a volte arrugginite, alle soglie del nuovo millennio!
Era incazzato ed indurito da quel mestiere di medico di frontiera. Lo capivo perfettamente. Queste cose cambiano la tua vita per sempre. Il carattere si indurisce. Le parole e i pensieri perdono ogni filtro.
Ho avuto il privilegio di essergli amico in questi ultimi ventidue anni. Amico, sì, una parola che uso raramente, soprattutto in epoca social, se non per chi ritengo lo meriti. Con Gino Strada ci siamo incontrati in una dozzina di occasioni e sentiti al telefono decine e decine di volte. Ogni volta avevamo entrambi la percezione che stessimo remando sulla stessa barca, distanti ma nella stessa direzione.
Tre anni fa lo incontrai a casa sua, a Venezia, dove mi invitò per parlarmi di un progetto che voleva condividere: un concerto a Reggio Emilia, al Campovolo, con artisti italiani e internazionali con un titolo forte, “Abolire la guerra”. Il mio primo impatto fu pragmatico e ironico: «Non basta un “contro la guerra”? Abolire la guerra è un’utopia!».
Gino poi si spiegò molto bene: «Agli inizi del 900 la schiavitù era una cosa accettata da tutti, poi l’abolizione della schiavitù è entrata nella cultura dei popoli. Oggi esiste ancora la schiavitù in altre forme ma le persone pensano che sia una cosa vietata e cattiva. Vorrei che anche la guerra venisse pensata cosi».
Mi limitai ad un «hai ragione, è una follia pensarlo possibile, ma perché no? Da un piccolo seme nascono alberi massicci. Quel seme va piantato e annaffiato».
Poi il Covid ci ha fermati e il progetto è rimasto nel cassetto.
Ora la morte di Gino Strada ci lascia tutti sbigottiti e culturalmente soli. Quella sua sana follia, quella schiettezza e lucida incazzatura di pensiero non devono andare disperse. Devono diventare un insegnamento per costruire un mondo migliore. Più solidale e aperto verso gli ultimi. Dove il dialogo ristabilisca eguaglianza sociale. Un posto in cui, come mi hai insegnato tu, Gino, le guerre tornino ad essere un ricordo di una stagione barbara del passato. Dove un’umanità super connessa non trovi più scuse per non sapere.
Ti voglio bene Gino, ovunque tu sia. Sono certo che il popolo di Emergency saprà annaffiare il seme che hai piantato. E perché quel concerto si possa fare, il mio impegno non mancherà. Riposa in pace amico mio.
Claudio Maioli
Sperando che non sia troppo tardi, vorrei contribuire alla de-canonizzazione di Gino Strada. Qualcuno lo ha già definito “santo laico”, uno dei tanti brutti ossimori che infestano il nostro parlare, come “missione (militare) di pace”.
Ho visto nascere Emergency nel tinello di casa sua, con la moglie Teresa Sarti e la piccola Cecilia. E non c’era odore di incenso.
All’epoca, la prima metà degli anni Novanta, Gino Strada era un chirurgo alla ricerca di qualcosa che non fosse una banale carriera da chirurgo. Voleva fare qualcosa di socialmente importante. Ammirava tutti quelli che con il proprio lavoro, di qualunque lavoro si trattasse, erano riusciti a incidere le proprie iniziali sulla corteccia della Storia. Come volontario aveva già conosciuto gli effetti delle guerre in giro per il mondo con la Croce Rossa e Medici Senza Frontiere, ma riteneva che si potesse fare di più e meglio.
Di questo si parlava. Raccontava nel dettaglio degli effetti delle mine antiuomo, di come queste fossero disseminate in tutti i paesi maledetti dalle guerre e di come continuassero a ferire, dilaniare e uccidere (soprattutto bambini) e avrebbero continuato a farlo anche a guerra finita. Mine antiuomo prodotte qui, a pochi chilometri da noi, dalla Valsella Meccanotecnica di Brescia, controllata al 100% dalla Fiat.
Qualche sera dopo, ospite del Maurizio Costanzo Show assieme a Teresa, parlò proprio di questo e presto, anche grazie alla pressione di un gruppo di lavoratrici dell’azienda, la Valsella riconvertì la propria produzione. Basta esplosivi.
Non fu un miracolo. Nessun raggio divino li circonfuse. Fu la semplice azione di persone che non volevano rendersi complici di bestialità perpetrate da esseri umani nei confronti di altri esseri umani.
Fu in quel periodo che Emergency prese forma. Gino e Teresa coinvolsero amici e conoscenti trasmettendo loro la sensazione di stare partecipando a qualcosa di davvero importante, di poter realmente incidere positivamente ognuno con le proprie capacità sull’indifferenza e il cinismo.
Qualcuno disegnò il logo, quella “E” famosa ormai in tutto il mondo, giornalisti, inviati di guerra e commentatori dettero visibilità e supporto all’organizzazione, io con il mio staff produssi l’opuscolo di cui sono proposte qui alcune immagini, e soprattutto iniziarono ad arrivare autocandidature di volontari, medici e non, disposti ad aggregarsi al personale dei più sperduti e caldi fronti di guerra.
Si stava realizzando il sogno di Gino Strada. In quel periodo lo ricordo così appassionato ed entusiasta da far trapelare un’esultanza incontenibile, ma molto terrena. Lo stesso sentimento che avranno provato, ne sono sicuro, anche Padre Pio o Madre Teresa, consci di aver raggiunto gli obiettivi del loro operare.
Per questo non dobbiamo fare di Gino Strada un santino; i santini sono fatti per essere messi sull’altarino, con un cero e un fiore davanti. Poi il santino ingiallisce, il cero si consuma e il fiore appassisce, ma intanto il nostro dovere l’abbiamo fatto, la nostra venerazione gliel’abbiamo tributata e buonanotte al secchio.
No, niente santini. Gino era un uomo come noi, forse meglio o anche peggio di noi.
Ma ha fatto fino in fondo quello che tutti gli uomini dovrebbero fare: avere rispetto di sé e degli altri.