A scuola da don Lorenzo

Il film “Barbiana ’65” al Cinepiù

Sentendo parlare della “scuola di Barbiana”, ci si potrebbe immaginare un edificio come le vecchie scuole di campagna. In realtà, andando a Barbiana bisogna ridimensionare molto le proprie aspettative: passate un paio di case, salito un sentiero impervio e arrivati in cima ad una boscosa collina, gli unici segni di civiltà che si incontrano sono una piccola chiesa e una ancora più piccola casetta parrocchiale.
Eccola la famosa scuola di Barbiana: una saletta della casa del prete, una cantina adibita ad officina e una veranda che per qualche anno, negli anni ’50, è stata scuola per una ventina di ragazzi figli di contadini.
Da allora, la passione di don Milani per i suoi ragazzi non ha mai smesso di sollecitare educatori, interrogare insegnanti e studenti.
In occasione della proiezione del film Barbiana ‘65, ho avuto la possibilità di parlare con il Dirigente Scolastico dell’Istituto Comprensivo “Correggio 2”.

50 anni dopo la morte di don Milani, che alla fin fine era un parroco di campagna, non cessa l’eco della scuola di Barbiana. Cosa rimane oggi del messaggio di don Lorenzo?
«Sicuramente don Milani ha molto ancora da dirci! Tra i vari spunti che ha dato con la sua scuola, penso che rimanga molto attuale la sua convinzione che “la parola fa eguali”. Nonostante alcune diseguaglianze sociali degli anni ’50 non siano più così evidenti, la parola continua ad essere lo strumento principale per esercitare una cittadinanza attiva, conoscere se stessi e il mondo.
Trovo molto interessante anche come è stata scritta Lettera a una professoressa: la scrittura collettiva da parte dei ragazzi ha permesso di andare dritto al cuore del messaggio da trasmettere, utilizzando un linguaggio comprensibile che permettesse di entrare veramente in relazione con l’altro».

La scuola dell’epoca di don Milani era fortemente classista: i figli dei contadini avevano il destino segnato ed erano vissuti (e spesso si percepivano) come una causa persa in partenza. Com’è cambiata secondo lei la scuola dai tempi di don Lorenzo?
«Sono cambiati molto i tempi: il contesto sociale e famigliare in cui vive un ragazzo di oggi è molto diverso da quello dei ragazzi di don Milani. Penso che la scuola oggi sia investita di una funzione educativa ancora maggiore che in passato. Venendo meno altre reti educative, la scuola è ancora luogo di educazione e proprio per questo le si affidano compiti educativi molto importanti. D’altra parte però, penso che non ci sia ancora la convinzione profonda che la scuola possa essere uno strumento di elevazione e mobilità sociale. Fanno ancora troppa notizia le storie di ragazzi provenienti da contesti disagiati che ce la fanno a laurearsi, ad occupare posti di responsabilità… vuol dire che sono ancora – purtroppo – delle eccezioni!»

Don Lorenzo diceva che il maestro deve “scrutare i segni dei tempi”. Come interpreta questo messaggio?
«Penso che il compito non solo di ogni insegnante, ma di ogni educatore sia quello di riuscire a vedere il “non ancora”: poter intravedere il cigno in quelli che a volte sembrano brutti anatroccoli, avendo fiducia nelle capacità dei ragazzi. Scrutare i segni dei tempi vuol dire anche un’attenzione al presente, a quello che succede nel mondo, significa fornire agli studenti gli strumenti per comprenderlo. E qui ritorna la grande intuizione della parola come strumento di uguaglianza e democrazia».

Purtroppo rispettare limiti di tempo e di spazio è molto difficile quando si parla di don Milani: la sua azione educativa stimola tante domande e chiede risposte non banali.
Più di tutto però, dopo 50 anni, don Lorenzo ci chiede ancora di custodire nel cuore la scritta che si trova ancora appesa nella scuola di Barbiana: “I care”, mi interessa, mi sta a cuore.

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Barbiana ’65: la lezione di don Milani è il documentario che il regista Alessandro D’Alessandro ha realizzato nel 2017 sul materiale filmato dal padre Angelo nel 1965 e rimasto per tutti questi anni chiuso in un cassetto. La fortuna ha voluto che tale materiale fosse ritrovato proprio in occasione del cinquantesimo anniversario della morte di don Lorenzo (1923-1967). Il circolo culturale Primo Piano ha organizzato la proiezione del film al Cinepiù, invitando Alberto Melloni, direttore scientifico dell’opera omnia di don Milani. Fino al dicembre del ‘65 il priore si era sempre rifiutato di farsi riprendere. Prima di iniziare le riprese, D’Alessandro dovette soggiornare per diversi giorni a Barbiana, il paesino del Mugello, in provincia di Firenze, in cui don Milani aveva dato vita alla sua scuola popolare. Poi don Lorenzo gli diede il suo consenso: il regista aveva superato l’esame.
Il documentario, oltre che dei filmati originali, si compone anche delle interviste a don Ciotti, a Beniamno Deidda, ex procuratore di Firenze che, dopo la morte di don Lorenzo, ne ha raccolto il testimone, e ad Adele Corradi, la professoressa che negli ultimi anni affiancò il priore nella conduzione della scuola. «don Lorenzo sapeva di essere gravemente malato e che gli restava poco tempo. Per questo, probabilmente, sentì il bisogno di lasciare una testimonianza del suo lavoro coi ragazzi», suggerisce Adele Corradi.
Nelle belle immagini in bianco e nero assistiamo in presa diretta ai momenti principali della scuola di Barbiana: la scrittura collettiva; l’incontro con gli esperti esterni, messi a dura prova dalle domande dirette e documentate dei ragazzi; la lettura dei quotidiani; l’attività di “tutoring”, diremmo oggi, ossia di aiuto dei ragazzi più grandi e più bravi a quelli in difficoltà; il valore dato alla parola, come strumento fondamentale di emancipazione e affermazione civica e sociale. A Barbiana non si usavano libri di testo: gli unici libri erano il Vangelo e, prima di tutto, la Costituzione, oltre alle pagine dei quotidiani e ai dati statistici, richiesti direttamente all’Istat e utilizzati per costruirsi un’opinione critica e fondata sulle cose.
Buona parte del filmato è occupata dalla lettura che don Lorenzo fa della sua Lettera ai giudici, il testo scritto per difendersi dall’accusa di apologia di reato per avere sostenuto il diritto all’obiezione di coscienza. «Quando don Lorenzo afferma che l’obbedienza non è più una virtù, dobbiamo intenderlo non come un facile invito al ribellismo o al rifiuto di ogni regola, ma come un’esortazione a seguire la voce scomoda della propria coscienza», commenta don Ciotti con la lucidità che lo contraddistingue.
Queste poche note servono solo a far intuire il valore del documentario e dell’esperienza unica della scuola di Barbiana, che ancora oggi non ha cessato di stimolare riflessioni e dibattiti, oltre ad aver radicalmente influenzato oltre mezzo secolo di ricerca pedagogica e didattica. Oggi, fra analfabetismo di ritorno, abbandono scolastico, nuovi poveri e immigrati, che sono davvero ultimi fra gli ultimi, la lezione di don Milani è più attuale che mai.
Perché «don Milani ricordarlo non serve a nulla, bisogna sfruttarlo», conclude Adele.

Luigi Levrini

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