«Per capire un Paese bisogna seguirlo con continuità». Si presenta così, qui a Rio Saliceto, la giornalista Barbara Schiavulli, ospite di “Donne in prima linea – Viaggio nel mondo dei diritti negati”. L’incontro al Centro Biagini era organizzato dall’assessorato alle pari opportunità del Comune, guidato dalla brava Nicoletta Manca. Barbara ha viaggiato molto, come giornalista e reporter di guerra, visitando paesi come il Myanmar, la Somalia, il Sudan, l’Iran. Ma «l’Afghanistan ha rapito il mio cuore» premette, sentendosi e facendosi subito «voce di donne intrappolate in un paese che le vuole cancellare».
L’Afghanistan è uno dei Paesi più poveri al mondo, un Paese in piena crisi umanitaria, sociale ed economica, dove ventitré milioni di persone, su una popolazione di trentotto, hanno bisogno di assistenza sanitaria. Si parla di un milione di bambini a rischio di morte per fame; la malnutrizione è a livelli mai visti. Molte guerre hanno sconvolto questo Paese, crocevia tra Oriente e Occidente. Nel 1979 l’URSS lo invase rimanendovi per un decennio, nel sanguinoso conflitto con i guerriglieri islamici (mujahidin). Nel 1992 nacque la Repubblica Islamica, ma le guerre tra i vari gruppi di mujahidin proseguirono. Nel giro di quattro anni tra questi furono i Taliban a prendere il sopravvento, instaurando un regime fondamentalista. Le donne non poterono più né studiare, né lavorare; i loro visi furono coperti da veli, le loro anime imprigionate, la loro intelligenza offesa e la loro voglia di libertà schiacciata. Nel 2001, dopo l’attentato alle torri gemelle, gli USA rovesciarono il regime talebano. Seguirono elezioni democratiche di un presidente. Gli americani imposero che le donne in Afghanistan fossero rispettate: con l’entrata in vigore della nuova Costituzione, rifacentesi a quella del 1964, le donne afgane, de jure, acquisirono gli stessi diritti degli uomini, anche se la mentalità afgana rimase estremamente conservatrice, ostacolando l’emancipazione femminile e la messa in atto della legge. Nel 2019 gli americani, senza consultare il governo afgano, a scapito degli alleati e della paura delle donne di perdere i loro diritti ormai in parte acquisiti, decisero di ritirarsi dal Paese, dopo aver negoziato con i talebani permettendo loro, così, di occupare nuovamente Kabul. È il 15 agosto 2021. Da quel momento «il governo comincia a morire», afferma la nostra Barbara Schiavulli.
A questo punto lei decise di partire nuovamente per l’Afghanistan, allo scopo di vedere da vicino cosa stesse succedendo nella società civile afgana. Trovò aeroporti presi d’assalto, stranieri che tornavano a casa, gente che fuggiva. Le donne afgane, ancora ignare che sarebbe stato loro tolto tutto, fuggirono assieme a tutti quelli che appoggiarono gli stranieri. Barbara non trovò più le donne artiste, le taxiste, le studentesse, le scienziate, le giocoliere che aveva conosciuto nel viaggio precedente.
La vita non è più la stessa a Kabul: «una città senza donne, le poche sono vedove con figli e senza lavoro. C’è chi fa lavorare i figli piccoli e c’è addirittura chi li vende. Nonostante i messaggi rincuoranti dei talebani, che negano la crisi e puntano il dito sul marcio che c’era prima, le donne sono fortemente minacciate, esposte a violenze fisiche e psicologiche». La loro vita è stata cancellata in poche ore, i loro visi e i loro corpi sono stati ricoperti dal burqa. Dopo vent’anni di lotta sono state di nuovo private della loro libertà. «Quelle che hanno lottato per i propri diritti e per un Afghanistan democratico sono in pericolo, costrette a nascondersi e ad essere sempre accompagnate da un uomo, anche solo per fare la spesa. Senza poter accedere agli studi, il futuro è negato a migliaia di ragazze». Per le strade della città le cose sono cambiate. «Lo sono meno nelle campagne, rimaste ferme in un passato che sarà sempre più forte della voglia di futuro che si ha in città», aggiunge la giornalista.
Barbara prende in esame anche la situazione degli uomini afgani. «Godono sicuramente di più diritti rispetto al sesso opposto, ma resta il fatto che, anche per loro, la libertà di culto, di pensiero e di manifestazione sono ancora opzioni molto difficili da raggiungere. Dovrebbero essere gli uomini a rivendicare la dignità della donna, difenderla dai mostri: sono quegli uomini che sanno ma non fanno, sono quei medici che curano ma non denunciano. Certo non ci sarà mai un mondo senza violenza. Ma un mondo di uomini che sanno dare l’esempio si può sempre costruire».
Nel corso della serata Barbara proietta foto di donne picchiate, di bambini abbandonati, di artisti che ormai non esercitano più e che spesso sono costretti a nascondersi, perché perseguitati dai talebani. Mentre le sue parole accompagnano le foto, è facile capire come si siano spenti i sogni non solo delle donne, ma di tutti gli afgani, che «non ci perdoneranno mai di essere andati là, di aver detto loro che avevano dei diritti e poi di aver permesso ai talebani di fare tutto questo».
Ad una signora del pubblico che la definisce una donna coraggiosa, Barbara risponde così: «Io lo faccio per passione. Ho preso un impegno nel momento in cui ho scelto quello che volevo essere, il tipo di persona che avrei voluto diventare. Ma le vere coraggiose sono le donne afgane!»
Chi è Barbara Schiavulli
Corrispondente di guerra e scrittrice, ha seguito i fronti caldi degli ultimi vent’anni, come Irak, Afghanistan, Israele, Palestina, Pakistan, Yemen e Sudan. I suoi articoli sono apparsi sui principali quotidiani nazionali. Ha collaborato con varie radio e tv ed è cofondatrice e condirettrice di Radio Bullets. Negli anni ha ricevuto numerosi premi di giornalismo: il più recente è il Premio Koinè (2022). Ha detto di sé: «vorrei essere la persona nel posto e nel momento in cui si fa la storia piccola o grande che sia. La persona che ascolta, che assorbe la vita degli altri».