Penso che tutti i correggesi siano fieri dei loro portici e della vita che si svolge nel centro del paese: incontri, chiacchiere, chi nasce, chi è morto, tra bar, chiese e negozi.
Proprio su questi ultimi mi voglio soffermare; non solo tornando al passato, ricordando quanti abbiano chiuso, ma constatando quanti siano ancora al loro posto, portati avanti dai figli.
Se torniamo indietro agli anni cinquanta, la prima cosa che si faceva era mettere la bicicletta in “deposito”, se si doveva andare in qualche ufficio, nelle banche, a scuola o al lavoro. Le massaie invece portavano con loro la bicicletta per poter trasportare la “spesa”.
In centro e nelle prime vicinanze, era possibile approvvigionarsi di tutto l’occorrente presso i numerosi rivenditori di fiducia. Le donne di casa acquistavano lo stretto necessario per la giornata, per due motivi: non c’era la possibilità di conservare a lungo gli alimenti e non c’erano i soldi. Il paese si stava riprendendo dalla guerra e il ricordo delle ristrettezze economiche, se non della fame, era ancora molto vivo. Molti negozianti di generi alimentari davano la possibilità di segnare sul “libretto” e di pagare il debito una volta al mese, quando si prendeva lo stipendio. Funzionava così anche per l’abbigliamento, le scarpe e i libri di scuola, mentre per i primi elettrodomestici cominciava a prendere piede il pagamento rateale.
Nei giorni feriali, sotto i portici c’era un via vai di persone indaffarate e, dopo l’una e fino a sera, i ragazzi facevano le “vasche”, durante le quali ci si vedeva, ci si guardava, nascevano simpatie e amori.
Un giorno speciale era il Mercoledì col mercato, quando il primo tratto di portico a Nord, fino all’orologio e Piazza Garibaldi, era fitto di persone, in particolare provenienti dalle frazioni (sarebbe stato impossibile passare in bicicletta sotto i portici). Si informavano sul mercato agricolo e del bestiame, concludevano affari, insomma era il portico dei “contadini”.
La Domenica era davvero un giorno diverso perché il centro diventava il “salotto buono” tirato a lucido: le persone si vestivano “dalla festa”; ancora negli anni ‘60, alcune “signore” portavano guanti e cappello come prima della guerra; era il giorno della Messa, finita la quale alcuni si fermavano nei bar, ad esempio a prendere un caffè da “Ernesto”; i giovani andavano a comprarsi un pezzo di gnocco appena sfornato, un pezzo di pizza al taglio alla “Galletta” o, a seconda della stagione, un gelato. Prima di pranzo, c’erano file di persone nelle pasticcerie per portare a casa un cabaret di paste.
Sembra assurdo, ma le due principali ricette, uso della bicicletta e approvvigionamento sobrio e mirato di generi alimentari, sarebbero oltremodo buone anche oggi, quando la buriana dei consumi dannosi per la salute e l’ambiente sembra passata o dovrebbe esserlo.
É scontato dire che tutto cambia dagli anni sessanta in poi, con il boom economico e con l’avvento della famigerata “società dei consumi”: con l’auto si può andare fuori a fare la spesa per tutta la settimana nei supermercati, negli ipermercati, poi, verso gli anni 2000, nei discount e infine negli outlet e nei centri commerciali, che col tempo hanno rimpiazzato le botteghe di paese.
Di questo tema ha parlato anche Repubblica, in un articolo del 22/2/2017. “Chiudono i negozi nei centri storici delle città italiane: è la fotografia di Confcommercio sulle attività commerciali nei centri storici e nelle periferie di 40 città italiane, escluse le più grandi come Roma, Milano e Napoli. Nel periodo 2008-2016 i negozi del commercio al dettaglio sono scesi del 13,2%, mentre il commercio ambulante è cresciuto dell’11,3%. In particolare i negozi nei centri storici sono scesi del 14,9%, mentre fuori dai centri calano del 12,4%. Le categorie merceologiche in crescita nei centri storici sono quelle della telefonia e computer (+13,4%) e farmacie (+5,8%), mentre calano del 23,4% libri e giocattoli e del 16,4% vestiario e tessili.
I dati indicano una scomparsa dai centri storici delle città dei negozi di libri e giocattoli e di abbigliamento[…] É una trasformazione che deve far riflettere, perché alla chiusura di un negozio del centro storico non c’è una riapertura in periferia”.
Anche a Correggio i negozi chiudono: le cause sotto gli occhi di tutti, stanno nel cambiamento dei comportamenti e dei bisogni dei consumatori e, genericamente, nell’apertura dei centri commerciali.
Sembra che uno dei più prestigiosi negozi di abbigliamento di Reggio Emilia, nell’Isolato San Rocco, chiuda. Il proprietario ha resistito il più possibile, ma da quando si è accorto che molti probabili clienti provavano capi di firma per annotarne taglia, modello e prezzo senza acquistarli, si è arreso. Evidentemente, questi avventori, dopo aver scelto per bene i capi, li acquistavano poi online a prezzi inferiori: è lecito, chi può dire che non siano “furbi”.
Non sono ancora le vendite online le responsabili delle chiusure, ma…è solo questione di tempo.
L’e-commerce in Italia è molto in ritardo rispetto agli altri paesi europei, ci troviamo infatti dietro a Lituania, Grecia e Portogallo; significa solo che in Italia il potenziale di crescita è tra i più alti in Europa e che dobbiamo aspettarci un enorme incremento delle vendite online.
Nel frattempo, si può fare qualcosa per rallentare il declino dei negozi di vendita al dettaglio nei centri storici?
Possiamo “resistere” e continuare ad acquistare nei negozi del nostro paese.
Nell’ambito della Fiera di San Giuseppe appena trascorsa, si è ripetuta l’iniziativa intitolata “I love shopping nel CUORE di Correggio”, partita nel 2015 come progetto di valorizzazione commerciale nel centro storico, finanziato con contributi comunali e regionali.
Detto ciò, cercando di ricordare quali negozi sotto i portici abbiano chiuso, salta agli occhi l’assenza di tutti i negozi di alimentari “tradizionali” (frutta e verdura esclusi) e delle macellerie.
Ci si accorge anche dei tanti negozi “storici”, che ci sono ancora e che, addirittura, sono quasi gli stessi di 60 anni fa: la Cartolibreria “Scaltriti”, i barbieri “Gianotti” e “Canepari”, le oreficerie di “Iori” e “Tirabassi”, i negozi di ferramenta “Beretti” e “Sologni”, il forno di “Benassi”, la “Manila”, la “Norma”, le Farmacie “Lasagni” e “Zuccardi”, le edicole da “Romano” e da “Luisa”, “Sberveglieri”…e ne avrò dimenticato certamente più di uno.
65 anni fa i fratelli Sberveglieri Alfio, Azzo e Arrigo cominciavano le attività di deposito e riparazione di biciclette, nonché noleggio auto, dove oggi c’è la Benetton.
Dopo vari spostamenti, il negozio si stanzia nell’attuale sede in Viale Vittorio Veneto 1/G e aggiunge l’attività commerciale a quella artigianale, con la vendita di biciclette e ciclomotori.
La longevità dell’esercizio dipende semplicemente dal fatto che l’attività è stata rilevata da uno dei figli, precisamente da Alberto, figlio di Azzo, e dalla capacità di resistere e adeguarsi ai cambiamenti. Immutata nel tempo è rimasta l’attività di riparazione.
Appunto parlando con padre e figlio, si scopre che c’è stata un’evoluzione strettamente legata al cambiamento dei tempi e della società. Partendo da quando la bicicletta era l’unico mezzo di locomozione posseduto in famiglia (tanto è vero che, in caso di bisogno, ci si rivolgeva proprio a Sberveglieri o altri per noleggiare un’auto), ad oggi con la vendita di biciclette ed e-Bike.
La progressiva modifica della viabilità a Correggio ha incentivato nuovi stili di vita; con le piste ciclabili la bicicletta è tornata a essere un mezzo usato da tutti indistintamente e da chi ha scelto come sport il ciclismo non agonistico.